FANGHI ROSSI: TERRENI INQUINATI CON METALLI PESANTI
Il ripristino ambientale di terreni contaminati e vecchie discariche, soprattutto se contengono terreni inquinati da metalli pesanti, risulta essere spesso molto difficile, soprattutto a causa della difficoltà di attecchimento delle essenze vegetali utilizzate per la rinaturalizzazione su suoli sterili e/o terreni inquinati.
Nel corso degli anni sono state sviluppate diverse tecniche di protezione del suolo e di rinaturalizzazione di suoli sterili e/o terreni inquinati . Fra queste emerge un’innovativa tecnologia naturale che impiega esclusivamente piante erbacee perenni a radicazione profonda e consente di operare anche in aree in cui le condizioni pedoclimatiche erano fino a pochi anni fa ritenute proibitive per lo sviluppo della vegetazione: terreni sterili, terreni inquinati, rocce alterate o fratturate, terreni additivati con calce fino al 5% in peso, suoli inquinati da rifiuti, terreni inquinati idrocarburi e metalli pesanti in concentrazioni anche 10 volte superiori ai limiti massimi di legge. Inoltre, tali piante erbacee hanno la capacità di resistere alle alte temperature dovute alla fermentazione dei rifiuti organici nelle discariche.
FENOMENI EROSIVI E RIPRISTINO AMBIENTALE SU TERRENI INQUINATI
I fenomeni erosivi sul territorio italiano sono molto diffusi e strettamente legati alle condizioni climatiche caratteristiche delle nostre latitudini, dove le precipitazioni pluvio meteoriche rappresentano l’agente più incisivo (erosione idrica). L’intensità dell’azione erosiva dipende da vari fattori, quali: intensità e durata delle precipitazioni, lunghezza e inclinazione del pendio, permeabilità del terreno e grado di saturazione, presenza di vegetazione, erodibilità intrinseca del terreno. L’intensa erosione impedisce la formazione di humus nel terreno ed accelera il dilavamento dei nutrienti rendendo così molto difficoltosa la crescita di vegetazione. Alcune specie pioniere, particolarmente frugali, riescono a volte ad attecchire sui nudi pendii erosi, ma spesso per sradicarle è sufficiente un evento meteorico più intenso del solito.
STUDI RECENTI
Studi recenti, hanno evidenziato invece la capacità di alcune specie erbacee a radicazione profonda (prati armati) di riuscire a vegetare anche in condizioni pedoclimatiche proibitive in cui le specie vegetali usualmente impiegate per interventi di inerbimento non riescono a vegetare, riuscendo ad ostacolare molto efficacemente i fenomeni erosivi anche su suoli sterili e terreni inquinati. Queste piante si comportano infatti da organismi pionieri vegetando anche su terreni sterili e contaminati ove sviluppano una densa copertura vegetale e migliorano la fertilità e la struttura del terreno. Lo rendono così più adatto alla colonizzazione di specie vegetali più esigenti (come ad esempio quelle arbustive ed arboree) ed accelerano quindi il processo di rinaturalizzazione e ripristino ambientale.
USLE
Esistono vari approcci per la stima quantitativa dell’erosione (perdita di suolo), quali quelli basati su modelli teorici, modelli fisici in scala ridotta e modelli empirici. Tra questi ultimi si evidenzia l’Equazione Universale per il calcolo della Perdita di Suolo – USLE – Universal Soil Loss Equation (Wishmeier e Smith, 1965; 1978), equazione empirica adottata per la stima dell’erosione idrica da United States Department of Agriculture. Tale equazione è generalmente diffusa nella seguente forma:
A = R × K × LS × P × C (1)
ove:
A: perdita specifica di suolo [t/ha anno], associata a fenomeni di rill e interill erosion;
R: Rainfall-Runoff Erosivity Factor: fattore climatico, relativo all’intensità e alla durata delle precipitazioni;
K: Soil Erodibility Factor: fattore pedologico che esprime l’erodibilità del suolo;
LS: fattore geometrico funzione della pendenza ed estensione del versante;
P: Support Practices Factor: fattore riduttivo dipendente da eventuali interventi di protezione, controllo e conservazione;
C: Cover-Management Factor: fattore riduttivo funzione della vegetazione;
TECNICHE ANTIEROSIVE
Le tecniche anti-erosive attualmente più diffuse risalgono agli anni 1950-60. Tutte prevedono l’impiego di manufatti sintetici quali ad esempio geocelle, geostuoie, georeti, oppure biostuoie, fascinate, viminate, etc. che, però, in condizioni pedoclimatiche difficili, possono non risolvere completamente il problema dell’erosione e non consentire una rapida rinaturalizzazione soprattutto su suoli sterili e terreni inquinati;
Negli ultimi anni stanno riscontrando un notevole interesse gli interventi antierosivi che utilizzano sistemi naturali, come particolari tipi di specie erbacee che coniugano una elevata resistenza a condizioni fitotossiche con elevate proprietà geotecniche, contribuendo così a ridurre i fattori P e C che compaiono nell’equazione USLE (eq.ne 1) e quindi la perdita specifica di suolo.
Il ruolo della vegetazione nella protezione dei pendii dall’erosione è stato a lungo studiato ed è documentato da ricerche sperimentali.
Per la riduzione dei fenomeni di erosione idrica, e quindi per la riduzione della la perdita di suolo per ruscellamento, l’impianto di piante erbacee a radicazione profonda appare promettente per i seguenti motivi:
- la vegetazione dissipa gran parte dell’energia cinetica delle gocce di pioggia, attenuandone così l’azione erosiva (splash erosion);
- in caso di precipitazioni intense, una frazione rilevante di acqua meteorica ruscella al di sopra della coltre vegetale allettata, anche quando la vegetazione è disseccata, impermeabilizzando il versante e riducendo sensibilmente l’infiltrazione di acqua;
- la presenza di vegetazione comporta la riduzione della velocità di ruscellamento dell’acqua sul terreno e quindi l’intensità erosiva;
- si ha un ritardo nel raggiungimento delle condizioni di completa saturazione del terreno grazie alla capacità di traspirazione delle piante, che assorbono acqua liquida dal terreno attraverso le radici trasferendola all’atmosfera sotto forma di vapore;
- si ottiene il rinforzo del terreno con l’apparato radicale;
- la coltre vegetale trattiene le particelle del terreno: si verificano azioni di contenimento, filtro e contrasto dei fenomeni di trascinamento dei granuli;
- aumenta il contenuto di sostanza organica nel terreno e questa a sua volta determina una riduzione dell’erodibilità intrinseca del terreno per la formazione, nel terreno stesso, di aggregati strutturali più stabili;
- l’aumento di sostanza organica nel terreno determina un sensibile aumento della sua capacità di ritenzione idrica;
- si ha inoltre un aumento della capacità di ritenzione degli elementi nutritivi sia per assorbimento biologico operato dalla vegetazione sia per ritenzione chimica operata dall’humus.
1. MIGLIORAMENTO DELLA FERTILITA’, DELLA STRUTTURA E DELLA CAPACITA’ DI RITENZIONE IDRICA DEL TERRENO DOVUTI ALLA PRESENZA DI VEGETAZIONE
La presenza di vegetazione determina un sensibile aumento della sostanza organica nel suolo e questa a sua volta comporta un miglioramento della struttura del terreno, della fertilità e della capacità di ritenzione idrica. Nel suolo la sostanza organica può essere considerata come una miscela di composti derivati da piante e microrganismi a diversi stadi di degradazione, partendo dai residui biologici freschi fino ad arrivare a composti già quasi trasformati in humus. L’humus è la frazione più attiva dal punto di vista chimico e fisico della sostanza organica ed è derivato dalla sua decomposizione e rielaborazione. Il contenuto di sostanza organica varia da meno dell’ 1% nei suoli desertici, a valori compresi tra l’1% e il 15% in suoli forestali a più del 90% nelle torbe.
La presenza di sostanza organica nel terreno determina un sensibile aumento del sua capacità di ritenzione idrica e della capacità di trattenere elementi nutritivi: l’humus è in grado di trattenere quantitativi d’acqua fino a 20 volte il proprio peso e di effettuare una ritenzione chimica di nutrienti quali potassio, calcio, magnesio, fosforo. Determina inoltre un rallentamento del processo di retrogradazione del fosforo, la protezione dei microelementi dall’insolubilizzazione e l’aumento del potere tampone.
La presenza di sostanza organica nel terreno riduce inoltre la sua predisposizione all’erosione perché determina la formazione, nel terreno stesso, di aggregati strutturali più stabili. Favorisce inoltre lo sviluppo della pedofauna e dei microrganismi, dato che viene da questi utilizzata come substrato alimentare.
La sostanza organica svolge inoltre un importante ruolo nell’inattivazione, per adsorbimento, di molteplici composti organici ad azione biotossica, sia di origine biologica (polifenoli) sia di origine sintetica (erbicidi e fitofarmaci in generale). I terreni ricchi di sostanza organica sono quindi anche importanti sistemi di smaltimento composti organici ad azione biotossica che riducono i fenomeni di inquinamento delle falde freatiche
2. PROVE DI GERMINAZIONE E DI APPROFONDIMENTO RADICALE IN TERRENI E TERRENI INQUINATI
Per testare la capacità dei prati armati di vegetare anche in terreni inquinati sono state effettuate delle prove di germinazione su materiali assimilabili a quelli delle discariche minerarie del distretto di Montevecchio nella Sardegna sud-occidentale, dove sono stati abbancati sterili di tracciamento e residui di coltivazione di minerali come la galena (solfuro di piombo) e la blenda o sfalerite (solfuro di zinco).
L’analisi quantitativa degli inquinanti presenti nei diversi campioni di terreni inquinati è stata condotta mediante spettrometria ottica di emissione al plasma ICP-OES (Inductively Coupled Plasma – Optical Emission Spectrometer). I principali inquinanti rilevati sono: arsenico, cadmio, cobalto, cromo, rame, mercurio, nichel, piombo, antimonio, selenio, zinco con concentrazioni in alcuni casi oltre dieci volte superiori ai limiti massimi di legge. A titolo di esempio riportiamo di seguito le concentrazioni rilevate nel campione di terreno n°14.
2.1 PROVE DI GERMINAZIONE SU TERRENI INQUINATI
Per effettuare i test di germinazione di varie specie erbacee a radicazione profonda sono stati utilizzati n.7 campioni di terreni inquinati assimilabili per caratteristiche a 7 diverse discariche dello stesso distretto minerario. E’ stata testata la germinabilità di n.9 specie diverse di piante erbacee a radicazione profonda: con ogni campione di terreno contaminato sono stati riempiti quindi n. 9 vasi del diametro di 16 cm (uno per ogni specie erbacea).
Complessivamente i vasi monitorati erano 63. I vasi sono stati sottoposti a cicli irrigui di soccorso in modo tale da simulare eventi piovosi.
Ad un mese dalla semina sono stati evidenziati i seguenti risultati: delle 9 specie erbacee testate, almeno 4 sono state in grado di germinare in tutti i campioni di terreni inquinati, sviluppando contestualmente un apparato radicale su tutto il volume di terreni inquinati contenuti in ogni singolo vaso.
La stessa sperimentazione ha messo in luce quali tra le specie erbacee testate avevano dimostrato di potersi adattare a condizioni critiche, e di poter essere utilizzate per il trattamento di terreni inquinati da arsenico, cadmio, cobalto, cromo, rame, mercurio, nichel, piombo, antimonio, selenio, zinco.
A questa prima fase di prove di germinazione, ha fatto seguito una seconda fase di sperimentazione sulla capacità di approfondimento radicale delle diverse specie erbacee in terreni inquinati.
2.2 PROVE DI RADICAZIONE
Tra i vasi delle specie che erano riuscite a germinare su terreni inquinati, ne sono stati prelevati 4, uno per ogni specie. Ciascun vaso è stato trapiantato in un tubo in plexiglass trasparente di lunghezza pari a 2 m e con diametro di 20 cm contenente lo stesso tipo di terreno contaminato che era contenuto nel vaso.
I tubi di prova sono stati dotati di impianto di irrigazione a goccia. Grazie alla trasparenza del materiale in cui sono stati realizzati i tubi di prova, è stato possibile monitorare nel tempo l’accrescimento radicale delle 4 specie erbacee sui terreni inquinati .
A circa un anno dalla semina è stato evidenziato come l’accrescimento radicale è stato intenso nella totalità delle specie testate e nel 50% dei casi è stato superato un metro di profondità radicale, arrivando in una specie a superare 1,80 m di profondità radicale.
Il test di approfondimento radicale ha quindi dimostrato che le essenze erbacee testate non solo sono in grado di germinare su suoli contaminati, ma riescono a vegetarvi e ad accrescere in profondità l’apparato radicale.[1]
La sperimentazione ha messo in luce quali tra le specie erbacee testate sono state in grado di vegetare in terreni inquinati. E’ stato quindi possibile selezionare delle essenze erbacee utili per il trattamento di terreni inquinati da arsenico, cadmio, cobalto, cromo, rame, mercurio, nichel, piombo, antimonio, selenio, zinco.
3. APPLICAZIONI DI PIANTE ERBACEE A RADICAZIONE PROFONDA PER LA RINATURALIZZAZIONE TERRENI INQUINATI DI CAVE – MINIERE – DISCARICHE
Il campo di applicazione di queste tecnologie, quale quella sviluppata in Italia da Prati Armati srl, è piuttosto vasto: rilevati e scarpate stradali e ferroviarie, arginature, cave, miniere, discariche, aree a mare, protezione spondale di fiumi, torrenti, canali artificiali.
Nel caso di terreni inquinati e vecchie discariche, in particolare:
- si ottiene in tempi brevi la copertura e la protezione dei versanti dall’erosione idrica;
- si riduce la deflazione eolica che genera nubi di polveri inquinanti;
- queste piante isolano i rifiuti dall’ambiente esterno e migliorano l’impatto visivo dell’area trattata.
- si riduce fortemente la produzione di percolato nelle discariche, grazie all’intensa capacità traspirativa di queste piante ed all’elevata riduzione delle infiltrazioni di acque meteoriche dovuta all’impermeabilizzazione del versante che si ottiene in quanto una frazione rilevante delle acque pluvio meteoriche ruscella al di sopra della coltre erbacea allettata;
- viene ridotto il trascinamento a valle dei rifiuti affioranti, che vengono inglobati nella copertura vegetale.
Il trattamento di terreni inquinati di discariche dismesse con piante erbacee a radicazione profonda non sostituisce gli interventi di bonifica, ma può fornire una soluzione rapida ed economica per la messa in sicurezza d’emergenza delle discariche a pendio.
Tali interventi (cfr. D.M. 471/99) rientrano oltretutto nella categoria delle tecniche “in situ”, senza cioè movimentazione o rimozione di terreni inquinati e dei rifiuti.
3.1 ESEMPIO D’INTERVENTO PER LA RINATURALIZZAZIONE DI UNA DISCARICA RSU
Un tipico esempio di impianto di specie erbacee a radicazione profonda su terreni inquinati, finalizzato alla rinaturalizzazione di una discarica RSU è fornito dall’intervento eseguito in Sicilia.
A distanza di pochi mesi dall’intervento, le specie erbacee impiantate hanno completamente rinaturalizzato il versante nonostante le condizioni pedoclimatiche sfavorevoli all’attecchimento. L’impianto radicale profondo ha inoltre protetto la porzione superficiale del versante, bloccandone contestualmente l’erosione e riducendo la produzione di percolato.
3.2 ESEMPIO D’INTERVENTO PER LA RINATURALIZZAZIONE DI UNA CAVA DISMESSA
Un esempio di intervento di rinaturalizzazione di una cava dismessa mediante l’impiego di specie erbacee a radicazione profonda è quello realizzato in Sicilia, nei pressi di Catania, in un’area attualmente utilizzata per attività industriali di separazione di RSU.
A distanza di pochi mesi dall’intervento, le specie erbacee impiantate hanno completamente rinaturalizzato il versante, bloccando l’erosione.
3.3 ULTERIORE ESEMPIO D’INTERVENTO PER LA RINATURALIZZAZIONE DI UNA CAVA
Un altro esempio di intervento di rinaturalizzazione di una cava di calcare dismessa mediante l’impiego di specie erbacee a radicazione profonda, è quello realizzato in Umbria a Spoleto.
A distanza di circa 7 mesi dall’intervento, nonostante le condizioni pedoclimatiche proibitive, le specie erbacee utilizzate hanno iniziato a colonizzare il versante innescando il processo di rinaturalizzazione. Questo processo è ancora in atto.
4. CONCLUSIONI
L’impiego di piante erbacee perenni a radicazione profonda consente di bloccare l’erosione e rinaturalizzare aree con terreni sterili e terreni inquinati in cui le condizioni pedoclimatiche erano fino a pochi anni fa ritenute proibitive per lo sviluppo della vegetazione: terreni sterili, rocce alterate o fratturate, terreni additivati con calce fino al 5% in peso, terreni inquinati da rifiuti, da idrocarburi e metalli.
L’impiego dei PRATI ARMATI® appare quindi promettente anche per il ripristino ambientale di terreni contaminati e discariche dismesse.
Nel corso degli anni l’applicazione di piante erbacee a radicazione profonda in questo tipo di terreni è stato sperimentato con successo, come visibile negli esempi sopra descritti, ottenendo una rapida rinaturalizzazione anche su cave e discariche, lì dove tipicamente l’attecchimento della vegetazione risulta particolarmente difficoltoso. Con questo tipo di interventi si riesce inoltre a ridurre drasticamente la produzione di percolato nelle discariche e ad effettuare la messa in sicurezza d’emergenza nelle discariche a pendio, lì dove i tempi ristretti e i costi eccessivi spesso non consentono interventi di bonifica tradizionali. I terreni inquinati trattati con i PRATI ARMATI® non sono più un problema ambientale irrisolvibile.
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