La REPUBBLICA – Per fermare l’erosione ci vuole un filo d’erba di Prati Armati
Per fermare l’erosione ci vuole un filo d’erba
di Luca Fraioli
Prati Armati è un’azienda italiana che combatte il dissesto idrogeologico con piante erbacee dalle radici profonde anche 5 metri. I risultati sono migliori delle opere in cemento e metallo ed hanno attirato l’attenzione di partner illustri, da Anas a Enel Green Power.
Fermare l’erosione con un filo d’erba, con radici sottili, profonde e forti come l’acciaio, con prati che trattengono il terreno meglio di quanto facciano opere ingegneristiche in metallo e cemento. Anche questa è una rivoluzione verde, che parte dall’Italia e sta contagiando il mondo. Tutto è iniziato una ventina di anni a Milano fa quando Claudio Zarotti, ex ingegnere del Cise (il Centro informazioni studi ed esperienze, dalla fine degli anni Sessanta inglobato dall’Enel), decise di trasformare in un business la sua idea apparentemente folle: usare le erbe per il contenimento dei terreni a rischio.
Oggi quell’idea è diventata una azienda, Prati Armati, che sta allargando il suo raggio d’azione. “Anche grazie all’interessamento di grandi stazioni appaltanti come Rete Ferroviaria Italiana e Anas che stanno riponendo fiducia nel nostro lavoro”, spiega Marcello Zarotti, 33enne figlio di Claudio e oggi amministratore delegato della società.
BIODIVERSITÀ
Il degrado del suolo ci costa 50 miliardi all’anno
La collaborazione più recente, iniziata sperimentalmente nel 2018 ma consolidatasi con un accordo dei giorni scorsi, è quella con Enel Green Power, la società del gruppo specializzata in fonti rinnovabili. “Abbiamo deciso di affrontare il problema dell’erosione del suolo e del dissesto idrogeologico”, spiegano da EGP, “un fenomeno può riguardare anche i siti di impianti da energia rinnovabile e pulita. Per questo, stiamo testando una nuova soluzione anti-erosione, che in realtà è antica e assolutamente naturale”.
La spiega Zarotti, che fin da ragazzino ha seguito il padre per campi incolti e cantieri, e ora, dopo una laurea in Ingegneria ambientale al Politecnico di Milano, guida Prati Armati. “Usiamo una miscela di sementi di piante erbacee a radicazione profonda (non Ogm e con radici che possono arrivare anche ai 4-5 metri di lunghezza), resistenti all’aridità, in grado di adattarsi a qualsiasi tipo di terreno, anche con diverso grado di acidità e in ogni clima, con temperature variabili da -40 a +60 gradi centigradi. Si tratta di erbacee non infestanti, e capaci anche di catturare una quantità di anidride carbonica fino al 400% in più rispetto ad altri tipi di piante”.
Che gli alberi ad alto fusto, con le loro radici, siano fondamentali per la tenuta dei versanti è noto, ma il ruolo delle erbe in opere di contenimento vent’anni fa era tutto da scoprire. “Mio padre ha avuto questa intuizione”, racconta Zarotti, “e l’ha sperimentata empiricamente. Ma poi ha voluto codificarla grazie agli studi di botanici, geologi, ingegneri di molti atenei italiani, dai Politecnici di Milano, Torino e Bari, all’Università della Tuscia e alla Sapienza di Roma. Ancora oggi, la nostra azienda ha uno staff di appena cinque persone, ma si avvale della partnership di tanti ricercatori, grazie anche all’istituzione di borse di studio”.
Il risultato di questo virtuoso mix tra piccola impresa e grandi università è un bagaglio di conoscenze unico al mondo. “Abbiamo scoperto che le radici di alcune erbe hanno una resistenza paragonabile a quella dell’acciaio”, continua l’AD di Prati Armati, “e abbiamo classificato circa 30 specie, perlopiù graminacee e leguminose, che si adattano a diversi tipi di intervento, a seconda della natura del terreno e dell’habitat circostante”.
RISCHIO IDROGEOLOGICO
Una delle preoccupazioni infatti è non contaminare con specie vegetali aliene un’area già magari “ferita” da un cantiere di grosse dimensioni. “Nel nostro archivio abbiamo semi di erbe per ogni esigenza. E quando dobbiamo intervenire in luoghi molto lontani, come è successo in Europa ma anche in Messico o Algeria, sappiamo con quali criteri cercare in loco le specie giuste”, spiega Zarotti. “Certo raccogliere i semi non è semplice e noi abbiamo una squadra specializzata che sa dove e quando andare per farlo”. Poi c’è tutto il know how relativo alla conservazione, al risveglio, alla semina, un vero e proprio segreto industriale che dà a Prati Armati un notevole vantaggio competitivo. “Perché le proteine che mantengono il seme dormiente si degradino può essere necessario metterlo a mollo, oppure raffreddarlo in frigo o al contrario riscaldarlo. Noi sappiamo bene come fare”.
La tecnica funziona, lo dimostrano gli interventi realizzati in questi anni su scarpate ferroviarie e stradali, condotte di impianti idroelettrici Enel come quello di Narzole (Cuneo). Ma anche esperimenti sorprendenti: “Con l’Università della Tuscia abbiamo lasciato metà collina incolta, l’altra metà è stata ricoperta di Prati Armati”, racconta Zarotti. “Poi è stata simulata una pioggia di 2.200 litri d’acqua, quanta ne cade in un anno su Roma. La metà dove erano cresciute le nostre erbe non ha subito danni, l’altra si è letteralmente sgretolata”.
E il Politecnico di Torino ha verificato che questo tipo di interventi è green in tutti i sensi, perché la sua messa in opera ha costi energetici da 10 a 100 volte inferiori rispetto a interventi anti-erosione tradizionali con metallo e cemento. “Naturalmente”, avverte l’imprenditore, “questo tipo di opere funzionano bene per fermare movimenti superficiali del terreno, l’erosione appunto, ma non possono essere usati per contrastare frane o crolli di interi versanti”.
Con questo obiettivo i Prati Armati sono stati seminati lungo alcuni tratti della Salerno-Reggio Calabria e della Variante di valico, nel parco eolico Enel di Maida (Catanzaro) e in molti altri cantieri. Ora, grazie all’intesa con EGP, la sperimentazione proseguirà, iniziando dall’impianto eolico, attualmente in costruzione, di Castelmauro, in Molise. Perché la sostenibilità può anche essere appesa a un filo d’erba, purché sia forte come l’acciaio.